
Se Casanova, o Don Giovanni, fossero vissuti nella Londra della metà degli anni ’60 avrebbero avuto quasi certamente il volto di Michael Caine nei panni di Alfie Elkins, ovvero quello di un egocentrico playboy privo di moralità. Fautore di scelte che lo portano sempre a giungere alla via più facile e veloce per placare il proprio ego e curarsi semplicemente di sé stesso.
Michael Caine, all’epoca trentatreenne semi sconosciuto, riuscì a portare sullo schermo tutte le idiosincrasie di un personaggio per mille motivi disprezzabile. E per il quale è facile provare una profonda pena, per via dell’incolmabile vuoto che lo accompagna. Vuoto che viene enfatizzato dall’uso freddo e distaccato con il quale osserva l’obiettivo, sfondando la quarta parete e iniziando a descrivere le sue conquiste. Tecnica ripresa inizialmente da Woody Allen, in Io e Annie (Annie Hall; 1977) e che recentemente è stata riutilizzata in: M – Il Figlio del Secolo (id.; 2025) serie firmata da Joe Wright disponibile sul canale SKY Atlantic.
Nel caso del film di Gilbert, presente anche nel ruolo di produttore, l’escamotage è utilizzato dal protagonista, per spiegare come giudichi la propria vita affettiva. Infarcendo il discorso di frasi ripetute all’infinito in una forma intercalare volutamente insopportabile:
«…. non so se mi spiego»
Alfie Elkins
Questo in particolare è l’intercalare con il quale Alfie introduce ogni suo discorso sulle «picchie», termine gergale con il quale apostrofa le donne e che nella versione originale erano le «dolls» (Trad.: Bambole – nda).
Entro la fine del film però anche per quest’inguaribile e cinico donnaiolo vi sarà la peggiore delle leggi del contrappasso e contro la quale chiunque deve, prima o poi, misurarsi ovvero: una repentina presa di coscienza.
Completano una pellicola, premiata a Cannes e in seguito posizionatasi al 33°posto come film Britannico del XX secolo, sia una splendida colonna sonora Jazz, firmata da Burt Bacharach e Sonny Rollins, sia una serie di bellezze dell’epoca, fra le quali l’ex signora Gassman: Shelley Winters, e che di volta in volta si abbandonano fra le braccia del protagonista. E, ovviamente, Michael Caine, reso già celebre nella Londra dei ’60ies per aver impersonato numerose volte, ma a teatro, il ruolo del proletario con grande voglia di riscatto: Alfie Elkis, che di recente è tornato a mietere conquiste sotto la direzione di Charles Shyer, in una pellicola del 2005 (Alfie; 2005) che vide Jude Law misurarsi con il personaggio interpretato da Caine, ma nel quale il senso primigenio dell’originale venne meno. Facendo virare il remake sulla simpatia del protagonista che però non era dotato del medesimo cinismo, della stessa spietatezza e di una sana dose di dandysmo proletario enfatizzate nel film di Gilbert, a dimostrazione che quando l’originale è un ottima pellicola, piena di significati e con perfetti tempi tecnici, non necessita di essere attualizzata.
