
Woody Allen ci pone ancora una volta al cospetto di una pellicola che, a partire dall’uscita di Match Point (id.; 2005) pareva figlia del nuovo corso narrativo, quale spartiacque fra un prima e un ‘nuovo’ corso del cinema Alleniano. Il regista di origine ebraica all’epoca seppe aggiungere a quest’ ultima fatica anche un suo vecchio marchio di fabbrica, ovvero i problemi di natura psichica; confezionando un film che solo apparentemente può sembrare una commedia, ma che quasi subito svela la propria natura, dirigendosi verso una matrice maggiormente drammatica. Riuscendo a costruire e definire i personaggi in itinere e aggiungendovi una propria personale ricerca sulla psiche, vista al tempo stesso sia come fragile, sia come complessa. A tutto questo Allen aggiunge una sceneggiatura che impreziosisce ciascuna descrizione con particolari necessari per capire il dramma della protagonista.
Una protagonista impersonata da Cate Blanchett, vincitrice del premio Oscar 2014, in qualità di migliore attrice protagonista, padrona di un ruolo che un tempo sarebbe stato a beneficio dello stesso Allen. Capace di portare in scena deliri e drammi di un personaggio che vede progressivamente crollare la sua vita, in perenne bilico fra un passato sfavillante e uno squallido presente.
Completano la pellicola una splendida San Francisco, esaltata dalla perfetta fotografia di Javier Aquirresarobe, e che per una volta prende il posto della Grande Mela. Una colonna sonora che fa del jazz il proprio marchio di fabbrica, e un Alec Baldwin per il quale a fine film si riesce a provare anche una sana dose di complice simpatia.