L’arte di vincere, di Bennett Miller

a cura di Ciro Andreotti

Billy Beane, ex promessa mai mantenuta, del baseball professionistico, una volta appeso il guantone al chiodo è diventato il General Manager degli Oakland Athletics, squadra di Major league con un problema di difficile risoluzione: cercare per mezzo di un budget sempre più ridotto di costruire una formazione all’altezza delle aspettative dirigenziali. Beane troverà in Peter Brand, un giovane laureato in economia, l’architrave sulla quale creare una squadra vincente. Peter infatti è un esperto di analisi statistiche, grazie alle quali riuscire ad assemblare una formazione vincente e al tempo stesso economica.

In questa pellicola firmata nel 2011 da Bennett Miller regista che successivamente ha dato vita a un’altra narrazione sportiva con Foxcatcher – Una storia americana (Foxcatcher; 2014) trattando in quel caso la lotta Greco – Romana, quale incipit narrativo, ci si immerge completamente nel mondo del baseball a stelle e strisce, nel corso di una stagione sportiva (quella del 2001) che avrebbe potuto essere anonima come molte altre, per una franchigia che da molti, anzi troppi, anni non riesce a creare troppi sussulti sia fra i propri fans, sia nelle pieghe di una dirigenza sempre più decisa a trasferire gli Athletics da Oakland in un luogo dove possano costruirsi una verginità di risultati ricominciando da zero.

Ma oltre a questo c’è molto di più. Molto più di spogliatoi frequentati da masticatori di tabacco. Molto più del diamante e del “batti e corri”, per il quale gli Americani sono sportivamente celebri a livello mondiale. C’è invece tutto un sottobosco di luoghi comuni e sogni infranti; a partire da quelli del G.M. Billy Bean, impersonato da Brad Pitt, che da promessa della Major League, con un passato di sogni e lacrime spese ripensando alla sua modesta carriera, si trasforma per mezzo dell’arrivo di Peter Brand (Jonha Hill) nel primo sostenitore della sabermetrica, scienza che grazie all’analisi statistica traduce quel che uno scout non seppe vedere proprio nel giovane Billy, ovvero varie debolezze essenziali in alcune particolarità del ‘gioco’. Debolezze che se viste in anticipo si sarebbero tradotte in una facile previsione sulla sua carriera di atleta. Ma oltre ai complicati calcoli statistici il film ci offre anche la vita di persone incapaci di mantenere distaccati sentimenti e vita professionale. Incapaci quando dovrebbero non farsi coinvolgere, anche se ben pagati, all’interno del gorgo dei sentimenti prodotti da uno sport che per loro è molto più di un semplice sport ma la loro vera ragione di vita.

Pitt offre una prova sopra le righe, oltre le più rosee aspettative, facendo appassionare, grazie al suo atteggiamento sornione, lo spettatore a una disciplina di difficile lettura per un utente decisamente più avvezzo a gusti di altro tipo; calcistici in particolare. Ciò nonostante la caccia al record di vittorie consecutive degli A’s e il rapporto fra Billy e la figlia, diviene il polmone per mezzo del quale vive e si alimenta tutta la pellicola. Da sottolineare le buone prove sia del già citato Jonah Hill, nella parte di un mite analista statistico basato sulla vera figura di Paul DePodesta; e di Philippe Seymour Hoffman, nei panni dello scettico coach Art Howe, che non vede di buon occhio un’innovazione incapace di captare quel che è impalpabile a una fredda statistica, ovvero ‘l’essenza stessa dello sport’.

Da vedere anche se non siete appassionati del diamante, ma comunque appassionati di sogni made in USA quasi, ma non del tutto, a lieto fine.

L’arte di vincere (Moneyball) USA – 2011. Regia di: Bennett Miller Genere: Drammatico, sportivo Durata: 131′. Cast: Brad Pitt, Jonah Hill, Robin Wright, Philip S.Hoffman, Casey Bond, Chris Pratt Fotografia: Wally Pfister Musiche: Mychael Danna Soggetto: Michael Lewis, Stan Chervin Sceneggiatura: Steven Zaillian, Aaron Sorkin Montaggio: Chris Tellefsen Produzione: Rudin Productions, speciality Films Distribuzione: SONY.

L’arte di vincere, di Bennett Miller

Valutazione finale: 7 /10