
A sei anni da Le fate ignoranti (id.; 2000) il regista turco, ma trasferitosi da molti anni a Roma, per la precisione proprio nell’abitazione che fa da sfondo alla vita di Davide e Lorenzo, torna a parlare di rapporti di amicizia calcando la mano sui problemi dei quarantenni: ovvero una fascia anagrafica magari soddisfatta economicamente, ma non altrettanto in termini umani.
Özpetek fa aggirare lo spettatore negli ambienti della “Roma bene”, composta da liberi professionisti che si muovono nei soggiorni e nelle grandi cucine che fungono da luoghi d’incontro e nelle quali consumano cene nemmeno troppo frugali. In cui nemmeno troppo velatamente si strizza l’occhio ai problemi della frenetica vita metropolitana, scandita da appuntamenti di lavoro che vengono elusi ogni qualvolta si desidera un incontro con il proprio gruppo di amici storici. Una vita frenetica, come dicevamo poc’anzi, che non permette allo spettatore di capire come e quando i nove personaggi abbiano iniziato a frequentarsi, con poche spiegazioni affidate a qualche scambio di battute alle quali aggrapparsi nel mentre che si assaggia, poco per volta, l’intreccio.
Da sottolineare come il soggetto si muova indagando il legame affettivo che unisce tutto il gruppo e in particolare le figure di Davide e Lorenzo, che dovranno fare i conti con un lutto che colpirà loro come chi gli vive vicino. Il primo, scrittore per l’infanzia , interpretato da un Favino quanto mai ispirato e che va ancora a segno, dopo il Libanese di Romanzo Criminale (id.; 2005), capace di portare in scena un nuovo personaggio dai tratti molto differenti, ma anche altrettanto carico di pathos. Il secondo scacciato di casa dai genitori quando si sono accorti della sua “diversità”. Interpretato da un Luca Argentero alla sua seconda pellicola dopo l’esperienza della fiction Carabinieri (id.; 2002-’08), che ha saputo confermare quanto di eccellente aveva già mostrato nel suo esordio in A casa nostra (id.; 2006) di Francesca Comencini. Nel cast brilla un’altra “scommessa vincente”, come la definì a suo tempo lo stesso regista, ovvero Ambra Angiolini, al suo esordio e nella parte di un’appassionata di astrologia alla quale il regista non riesce però a dare il giusto spazio, trascurando un profilo che avrebbe meritato molto più spazio narrativo.
Alla fine è sicuramente questo il limite di un’ottima pellicola: ovvero cercare di concentrare in meno di due ore molte situazioni e altrettanti argomenti dei quali parlare e che a film ultimato resteranno inevitabilmente in sospeso per raggiunti limiti di tempo. Creando una copia, seppur perfettamente riuscita, sia de L’ultimo Bacio(id.; 2001) sia de Il Grande Freddo(The Big Chill; 1983)di Lawrence Kasdan.