Nascita di un’icona post moderna: The Blues Brothers

a cura di Ciro Andreotti

All’uscita dal carcere Jake Blues, in prigione per una rapina perpetrata sei anni prima, viene atteso da suo fratello Elwood, che ne detiene la custodia cautelare. Appena fuori i due vanno a far visita all’orfanotrofio dove sono cresciuti. Qui verranno a scoprire dalla direttrice che la struttura è prossima alla chiusura a meno che non si trovino in pochi giorni 5000 dollari per pagare delle tasse arretrate. L’idea dei due fratelli è quindi ricomporre la Blues Brothers Band per trovare il denaro necessario.

I “Fratelli Blues” in compagnia di Ray (Charles) nel suo negozio di strumenti usati

“Ah! Un pensiero molto carino! Il giorno che io esco di prigione il mio unico fratello mi viene a prendere con una macchina della Polizia.” (Joliet Jake)

Quella appena descritta rappresenta una trama fin troppo individuabile del panorama musicale e cinematografico dei primi anni ’80, oltre che un’icona della comicità distruttivo demenziale. Non una storia però nata per caso, ma la logica conseguenza di una passione atavica per un genere le cui ceneri sono rintracciabili sul finire dei ’70 nella mente del comico ed ex seminarista canadese Dan Aykoryd. Aykoryd, da sempre appassionato di Soul music e Blues, da lui tradotte nell’uso dell’armonica a bocca, e una volta decisi l’abbigliamento e il genere musicale da proporre, convinse l’amico John Belushi a esibirsi in una serie di show all’interno del Saturday Night Live (SNL), dei quali i due erano fra gli artisti di punta, ma non prima di aver trovato una band alla quale affidare anche una serie di pezzi storici ai quali modificare gli arrangiamenti, per renderli così più moderni e orecchiabili.

La prima apparizione del duo e della band, ed è decisamente il caso di usare il termine ‘apparizione’, calcolando per chi successivamente avrebbe lavorato la coppia di orfani, è datata 22 aprile 1978 proprio all’interno dell’SNL. Introdotti dal suono di I Can’t Turn you Loose di Otis Redding, marchio di fabbrica di tutti i concerti a seguire, con armonica a bocca estratta sempre da una valigia in pelle ammanettata al polso destro di Elwood, il duo ripropose Soul Man, brano del 1967 del duo Sam & Dave, proiettandoli immediatamente nell’iconografia del programma e nelle case degli ascoltatori di tutti gli States. Non solo grazie all’ entrata in scena acrobatica di ‘Joliet’ Belushi, scandita da una ‘ruota’ eseguita con agilità inattesa. Non solo grazie agli scatti epilettici con i quali da un iniziale paralisi la coppia si sbloccava al momento dell’intro dei fiati, ma anche grazie all’eccellente qualità musicale con la quale il brano era stato preventivamente addomesticato per un pubblico più avvezzo a Disco Music, psichedelia e Punk Rock, che sul finire dei ’70 dettavano legge.

Belushi e Aykroyd iniziarono quindi a non essere più identificati solamente come coppia comica, ma come un duo musicale per il quale la successiva tournée in giro per gli States pose le basi per l’uscita di Briefcase Full of Blues, disco inciso dalla Atlantic Record sul finire di quel 1978, e contenente una serie di cover che issarono l’LP al primo posto della classifica di Billboard, riuscendo a riportare in auge un genere caduto nel dimenticatoio e una serie di artisti che successivamente sarebbero stati quasi tutti coinvolti, seppur a fatica perché perbuona parte refrattari, nella pellicola che prese vita di lì a due anni.

Fu infatti nel 1980 che uscì al cinema il film diretto da John Landis alla quale lavorarono in fase di scrittura lo stesso Landis e Aykroyd, prima di tutto riuscendo a tratteggiare i caratteri dei due fratelli, ai quali aggiunsero la presenza dell’immancabile band e buona parte di quelle canzoni che fungevano da impalcatura per i loro concerti. Il film che venne girato in una manciata di settimane, fu sempre sul punto di non essere portato a termine a causa di un cast per buona parte vittima degli stupefacenti, per i quali era prevista una quota di denaro a parte e che soprattutto facevano bella mostra sul set, e che aveva in Belushi, ormai a un passo dall’incoscienza per uso di droga e alcool, il principale motivo di un insuccesso che venne sfiorato più volte.

Il reverendo Cleophus James, AKA James Brown

Sempre da ascrivere alla pellicola il merito di averci donato una serie di battute ormai scolpite nella mente di tutti. Dalle scuse con tanto di cavallette sfoderate in faccia a una Carrie Fisher in piena crisi da matrimonio mancato. Alla “missione per conto di Dio” ripetuta più volte come un mantra da Elwood. Dal vestiario in linea con una coppia di “impresari di pompe funebri” (cit.). Fino agli iconici occhiali da sole modello Wayfarer, che grazie ai due fratelli tornarono prepotentemente in auge nelle vendite della RayBan. Un fenomeno che quindi sconfinò oltre il cinema sia prima ma anche subito dopo e che non si fermò nemmeno quando Belushi scelse per sè un’uscita di scena ben poco gloriosa. A prenderne il posto al fianco di Elwood ci pensarono quasi immediatamente: Jim, fratello di John e anch’egli amico di Aykroyd, e l’attore e amico John Goodman, rispettivamente nei ruoli di Zee Blues e Mack McTeer.

Fenomeno che quindi partì in sordina da un’idea balenata nella mente di un ex seminarista ma che con il tempo ha saputo imporsi come un classico non solo del cinema ma anche di musica e del marketing, al punto di riuscire a mietere un successo planetario che a distanza di oltre quarant’anni non accenna a diminuire la propria eco. Glissiamo e perdoniamo invece il sequel datato 1998 (Blues Brothers – Il mito continua) dedicato anche alla memoria di Belushi, ma che rispetto alla prima pellicola può vantare solo un titolo e un ricordo decisamente sbiaditi.

The Blues Brothers – I Fratelli Blues (The Blues Brothers) USA 1980 Regia di: John Landis. Genere: Commedia, Musicale Durata: 133′. Cast: John Belushi, Dan Aykroyd, Carrie Fisher, J.Brown, Cab Colloway, Aretha Franklyn, Lou Marini, Matt Murphy, Donald Dunn. Fotografia: Stephen M. Katz. Musiche: Ira Newborn, Elmer Bernstein. Sceneggiatura: John Landis, Dan Aykroyd.

Nascita di un’icona post moderna: The Blues Brothers

Valutazione finale: 9/10