L’età della tigre, recensione del libro di Ivan Carozzi

L’età della tigre, recensione del libro di Ivan Carozzi.

Qualche anno fa Ivan Carozzi, già caporedattore di Linus, si mise in testa di scrivere un articolo sul trap sollecitato da un misterioso committente. Un anonimo Marco, collegamento virtuale con una imprecisata testata, probabilmente online. Questo libro, uscito per i tipi del Saggiatore qualche anno fa è stata l’occasione perfetta per ritrarre Milano.
I suoi splendori bifronte, le piccole dinamiche quotidiane in alcuni quartieri di periferia, Calvairate in testa. Squarci d’infanzia e di gioventù riaffiorano scompostamente, i momenti lieti col padre artista e separato, l’amico tossicodipendente per il quale non e’ riuscito a far nulla. Ferite grandi e piccole accanto a piccoli piaceri insostituibili che fanno capolino di tanto in tanto.

Immerso tra la folla vengono svelati i mille rivoli su cui si regge la quotidianità metropolitana con acume e uno spirito d’osservazione non comune. Attento ai mutamenti, ai racconti personali, alla fascinazione che per i trapper hanno parole-chiave come denaro, donne, potere. Così, con un esercizio di stile raro, Carozzi utilizza il suo particolarissimo fiuto fisiognomico per giungere a una ritrattistica quasi psicofisica dei vari Ghali, Sferraebbasta, Dark polo gang, Side baby, tutti trapper di successo.

L'età della tigre, recensione del libro di Ivan Carozzi.

Un libro ben scritto, che va letto lentamente, soprattutto in questi tempi disadorni di bellezza e di vita vera.

Tutti con vissuti comuni di sofferenza sociale e con madri abbandonate da mariti instabili dentro quartieri esterni alla Milano da cartolina, feudo della nuova borghesia. In realtà vecchissima perchè preda di antichi canoni comportamentali ed etici, in primis l’essere competitivi indipendentemente dalle proprie categorie esistenziali. Stravaganza e strafottenza è ciò che fa da contraltare all’opulenza questi nuovi ricchi.

Opulenza spesso non mostrata. Travestita da salutismo bio, buone scuole e un uso demagogico del politically correct, ma intuibile da figure sociali che hanno gentrificato il Centro. Ne è un esempio la zona Isola-Garibaldi con quell’orrore estetico ed etico che sono i giardini verticali. E i trapper scardinano apparentemente, con antiche parole-mondo, soldi, donne, potere, le stesse del mondo di sopra. Le certezze della moltitudine che spesso si auto compiace delle proprie scelte, spesso eterodirette, allineate, tristemente conformistiche. Trasgressività nell’habitus fagocitata dai mille guru del marketing e trasformata in un ribellismo di maniera. Quasi un orpello di facciata, il corpo come modalità comunicativa innocua, modaiola, in fondo accomodante.

Carozzi, nel suo girovagare per Milano, mette a nudo qua e là la propria condizione di lavoratore precario, con un contratto a scadenza e ovviamente nessuna garanzia per il futuro. E al di la’ dell’ansia riesce a dipingere con una raffinatezza narrativa, una narrazione fluida e mai scontata, la vita che scorre in una tra le più vivaci e spietate metropoli europee.

Un flusso incontrollabile di emozioni e comunicazioni. Di speranze e disillusioni nell’attesa di un nuovo perturbante, troppo acerbi i trapper per esserlo, che scardini silenziosamente gli orditi le trame di una città sempre più disumanizzante e finto-meritocratica. In conclusione: un libro ben scritto, raro, che va letto lentamente, soprattutto in questi tempi disadorni di bellezza e di vita vera.

L’età della tigre, recensione del libro di Ivan Carozzi.