La casa dalle finestre che ridono, di Pupi Avati

a cura di Ciro Andreotti

Stefano, un giovane restauratore, viene chiamato in un piccolo paese del ferrarese per restaurare un affresco riguardante il martirio di San Sebastiano, opera ultima di Buono Legnani, pittore soprannominato “Delle Agonie”, perché amava ritrarre esclusivamente persone agonizzanti e in punto di morte. Ben presto in paese comincia una scia di omicidi e gli abitanti non vedono più di buon occhio Stefano, che nel frattempo ha cominciato a indagare sulla vita del pittore.

Abbandonate per una prima, ma non ultima volta, le sue ambientazioni Bolognesi, Avati riesce a creare una pellicola fra le migliori del suo repertorio capace d’incastonarsi alla perfezione nel filone dei suoi ricordi d’infanzia per quanto con una deriva horror – thriller impreziosita dalla colonna sonora firmata da Amedeo Tommasi, in grado di sottolineare ogni momento del film facendo sobbalzare lo spettatore sul proprio posto.

Basandosi su un’esperienza d’infanzia – il ritrovamento di un cadavere di donna all’interno della tomba di un parroco di paese – Avati riesce a creare una storia semplice e dalle tinte thriller, ponendo le valli di Comacchio e la provincia della ‘sua Bologna’, entrambe usate per ambientare la pellicola, al centro di una narrazione dal sapore Felliniano. Popolando il paese, innominato per tutto il corso del film, e che al calar del sole sembra uscito dalla brughiera inglese, di personaggi stereotipati. Basti pensare al parroco e all’ufficiale dei carabinieri, così come Gianni Cavina, attore feticcio del regista felsineo, nel ruolo di un tassista alcolizzato, perfettamente interpretato e caratterizzato esattamente come ogni personaggio, capace di portare alla creazione di un quadro d’insieme rurale e misterioso, nel quale il corpo estraneo di Stefano: Lino Capolicchio, altro attore da sempre vicino al cineasta bolognese, passa progressivamente dall’essere accettato, all’essere sopportato, fino a essere inviso alla cittadinanza, per finire con l’essere in pericolo.

Avati riesce quindi a muoversi dalla sua ‘comfort zone’ creando un gioiello horror che all’epoca della sua uscita suscitò numerose critiche positive che lo portarono a vincere il Premio della Critica al Festival du Film Fantastique di Parigi del 1976 e che in seguito issarono la pellicola a horror – cult Italiano di riferimento degli anni ’70, esattamente come le pellicole di Dario Argento, due su tutte L’Uccello dalle Piume di Cristallo (id.; 1970) e Profondo Rosso (id.; 1975).

Perfetto per una serata nella ‘brughiera ferrarese’ ma sempre intravedendo nelle pieghe di una pellicola dei fratelli Avati, quel clima di malinconia e ricordo che ne contraddistinguono il cinema.

Valutazione Finale: 8 / 10

La casa dalle finestre che ridono (id.) Italia, 1976 Regia di: Pupi Avati Genere: Horror Durata: 110′. Cast: Lino Capolicchio, Gianni Cavina, Francesca Marciano, Giulio Pizzirani, Vanna Busoni, Bob Tonelli, Pietro Brambilla, Ferdinando Orlandi, Andrea Matteuzzi Musiche: Amedeo Tommasi Scenografia: Luciana Morosetti Fotografia: Pasquale Rachini Montaggio: Giuseppe Baghdighian Soggetto: Antonio Avati, Pupi Avati Sceneggiatura: Antonio Avati, Pupi Avati, Gianni Cavina e Maurizio Costanzo Produzione: Antonio Avati e Gianni Minervini per A.M.A. Film Distribuzione: Euro International Film

La casa dalle finestre che ridono, di Pupi Avati